Una carezza per neonati e neo mamme

I percorsi del made in Italy 1^ parte

Si può affermare che la moda italiana sia un elemento identitario della Repubblica italiana; la data in cui di fatto nacque il made in Italy fu il 12 febbraio del 1951 quando il conte Giovanni Battista Giorgini organizzò a Firenze il primo “first italian fashion show”, una sfilata di moda, in cui abiti e accessori italiani vennero presentati a un determinato numero di buyers americani.

Gli anni 50 e  il ruolo di Milano, Torino, Roma e Firenze. 

La consapevolezza della valenza della moda italiana negli anni 50, portò Milano, Torino , Roma e Firenze, ad assegnarsi ruoli e funzioni differenti ai fini dell’affermazione oltre confine del made in Italy: se Torino e Milano si specializzarono nell’abito di confezione e Firenze nella moda-boutique, Roma si dedicò invece nella creazione di capi di alta moda. Il principale mercato d’approdo fu quello americano affascinato dall’ineguagliabile stile italiano quale sinonimo della bella vita e del buon vivere.

Anni 60 la moda è una questione di stile 

Gli anni 60 si caratterizzarono dal boom economico che modificando gli asseti sociali secolari, stravolse anche il modo di concepire la moda, divenuta , grazie all’aumento del  potere di acquisto di tutte le classi sociali una vera e propria questione di stile. Si era insomma, entrati, in quel fenomeno che venne indicato come democratizzazione della moda; chiunque, anche la casalinga e l’operaia aveva ora il diritto a indossare un capo  che avesse precisi connotati vestimentari.  A determinare le nuove tendenze non fu più l’alta moda ( considerata ormai espressione di valori anacronistici) bensì l’altra moda, quella decisa dal basso in particolare dai giovani. Le proteste verso la classe dominante che a cavallo degli anni 60 sfociavano in numerose contestazioni popolari,  vennero abilmente intercettate dalle aziende del prêt-à-porter le quali crearono capi di abbigliamento che rappresentavano fedelmente gli stilemi identitari ideati dai nascenti movimenti giovanili come gli hippy, i mod, gli skinhead, i punk , i grunge e gli skeater considerati non a caso i veri precursori dell’antimoda. Con la diffusione capillare delle varie linee di sreet wear, mutò radicalmente anche il contesto di acquisto dei capi; alle classiche boutique caratterizzate dall’assistenza  quasi maniacale dei commessi, fecero da contraltare nuove e dinamiche boutique, dove, in metrature sempre più ampie , i giovani o sedicenti tali potevano intrattenersi (accompagnati da musica dai decibel sempre più elevati ) nella selezione degli indumenti di loro gradimento.

Anni 70 : l’avvento dello stilista e la consacrazione del made in Italy. 

Il termine stilista, coniato dalla letteratura italiana per indicare autori particolarmente attenti alle questioni di stile, venne associato al mondo della moda in epoca abbastanza recente. L’avvento dello stilismo italiano si deve a Walter Albini ( 1941-1983) che nel 1971 presentò a Milano una sfilata di abiti, che, seppur disegnati per cinque marchi differenti, erano l’espressione di un unico progetto stilistico. Fu l’affermazione secondo cui lo stilista porta la firma al centro della moda facendosi garante del prodotto sia esso abito e/o accessorio -per il solo fatto che questo recasse il suo nome. Secondo Albini lo stilista aveva il compito di progettare uno stile attingendo dal “magazzino stilistico” senza peraltro inventare nulla di nuovo; non a caso, rompendo con il passato, trasferì da Firenze a Milano le sfilate di moda considerate strumenti di marketing e comunicazione di vitale importanza ai fini della promozione del marchio. Da questo quadro si evince come lo stilista dovesse possedere delle innate doti comunicative, ciò spiega perchè due dei più rinomati stilisti attivi tra gli anni 70 e gli anni 90 ( G.Armani, G.Ferrè,) non avessero certamente un background sartoriale. L’affermazione dello stilista fu segnata anche da un rapporto con l’industria mediante la stipula di contratti di licensing in virtù dei quali l’azienda produceva e distribuiva la collezione disegnate o se volete architettate dallo stilista al quale veniva riconosciuta una percentuale sul venduto.

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